ARTE ROMANA I SECOLO D.C (COPIA DA)

SATIRO DANZANTE CON KROUPEZION

143 (h) x 60 x 40 cm
Gesso
 

Seguaci del dio Bacco, di cui spesso costituivano il seguito, e personificazioni della natura selvaggia e degli istinti sensuali e primordiali, i satiri erano divinità dei boschi, metà uomini e metà animali, riconoscibili per il loro aspetto villoso con orecchie aguzze, brevi corna sulla testa e zampe caprine. Nella mitologia greca erano associati al culto del dio Dioniso, assieme ai sileni, ed erano identificati come creature vivaci, dimoratori dei colli e dei boschi. Per i romani, ai quali erano noti come fauni italici, erano invece gli antichi protettori dei campi, delle foreste e della pastorizia (da qui il loro secondo nome di Luperchi, che tengono lontano i lupi), e spesso raffigurati nell’atto di suonare, di vendemmiare o di amoreggiare con le ninfe, loro compagne nei boschi idillici.

Replica moderna risalente, molto probabilmente, alla fine dell’Ottocento, la nostra statua costituisce una fedele copia del celebre Satiro danzante, oggi esposto nella Tribuna degli Uffizi, dove giunse intorno al 1688, proveniente, assieme ad altre opere, dalla celebre raccolta antiquaria custodita a Villa Medici sul Pincio a Roma. Copia romana di un originale bronzeo risalente all’ epoca ellenistica del II secolo a.C., il Satiro- fauno degli Uffizi fu successivamente completato da uno scultore rinascimentale che vi aggiunse la testa e le braccia con i cembali, quest’ultimi probabilmente assenti nella statua originale.

Come nella scultura del museo fiorentino, anche il nostro esemplare rappresenta il dio silvestre nell’atto di scandire il tempo di danza con il kroupezion, lo strumento musicale premuto sotto il piede destro. Particolarmente suggestiva è la definizione del modellato ricco di intensa vitalità e di notazioni anatomiche (i muscoli contratti dell’addome, il corpo asciutto e scattante, il gioco nervoso delle superfici), capace di definire con forza ogni rilievo dei fasci muscolari in tensione, riproducendo perfettamente quel senso di movimento sinuoso e melodico, di invito alla danza, che doveva caratterizzare fin dall’inizio il modello originale.

 
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO

A. Mansuelli, La Galleria degli Uffizi. Le sculture, Roma, 1958, p. 80;
C. Cristofani, La collezione di sculture classiche, in Gli Uffizi. Catalogo generale, Firenze, 1979, pp. 1087-1090;
V. Saladino, Musei e gallerie. Firenze Gli Uffizi. Sculture antiche, Firenze, 1983, pp. 64-65;
G. di Pasquale, F. Paolucci, Uffizi. Le sculture antiche, Firenze, 2005, p. 43.